Come diventare un director of photography (DOP): competenze e percorsi

Ci sono mestieri che catturano l’immaginazione al primo sguardo o anche solo al sentirli nominare. Basta pronunciare “director of photography” perché nella mente si accenda un’immagine iconica e quasi patinata.
Ma quello del DOP è decisamente un mestiere di grande responsabilità perché rappresenta chi sa decidere “l’inquadratura”, la fotografia con la luce migliore per imprimersi nella memoria dello spettatore. Il DOP deve sapersi muovere in un dialogo costante con regista, scenografo, costumista, colorist e sapere (prima ancora che per le capacità tecniche) leggere una storia e immaginarla in immagini. Perché ogni scena ha un respiro, un colore, un peso emotivo, che vanno intuiti ancora di esistere
Come si diventa quindi un director of photography? Non esiste una strada unica, ma vediamo meglio qui.
Competenze tecniche e artistiche di un DOP
Se chiedi a un director of photography qual è la sua competenza più importante, molti ti risponderanno senza esitazione: “Capire la luce”. Sembra banale, quasi scontato, ma non lo è. Perché capire la luce non significa solo sapere dove piazzare un proiettore o come regolare un pannello riflettente. Significa saperla leggere. Guardare un ambiente e intuire come si trasformerà nell’arco di un’ora. Sapere che un cielo nuvoloso renderà una pelle più morbida, o che una luce radente del tramonto potrà raccontare malinconia meglio di qualsiasi parola.
Da quello che si potrà intuire la parte tecnica è ampia e complessa, e non si impara tutta in un giorno. In primis un DOP deve avere chiaramente competenze tecniche perché l’ottica può cambiare radicalmente una prospettiva e preventivare come una focale corta possa dare respiro a una scena, mentre una lunga schiacciare prospettive e intensificare lo sguardo di un attore. Deve conoscere le camere, e non solo nei modelli più blasonati. Deve sapere come gestire il diaframma, l’ISO, la velocità dell’otturatore.
Poi c’è il lavoro sul colore e il DOP ragiona in termini di palette, anche se non c’è ancora stato il color grading in post-produzione e sa che certe luci fredde possono raffreddare una scena, o creare intimità con un tono caldo.
Ma ridurre il DOP a un tecnico della luce e dell’inquadratura sarebbe sbagliato, perché un bravo director of photography è un narratore visivo che non si limita a “registrare” quello che accade davanti alla macchina da presa, ma decide come farlo vedere e se farlo vedere. Questa figura deve sapere rinunciare a un’inquadratura “bella” se non è funzionale al racconto. O anche saper dire no a un effetto che distrae, anche se tecnicamente è impressionante.
Proprio per questo gli vengono richieste qualità e abilità di fotografia ma anche di ritmo narrativo. Perché ogni scelta visiva ha conseguenze sulla percezione del tempo. Non dimentichiamo l’aspetto umano. Il set è un ecosistema complicato, mutevole e richiede anche di gestire imprevisti e pressioni, ma anche persone e tante tra elettricisti, macchinisti, operatori di camera, e tante altre figure, per esempio quando il tempo stringe e una nuvola ha appena coperto la luce perfetta che si stava aspettando da ore.
E poi c’è un aspetto che chi non frequenta i set spesso sottovaluta: la relazione con il regista. Non è un rapporto gerarchico, ma una vera e propria collaborazione creativa. Il DOP traduce visivamente l’idea del regista, la arricchisce, la protegge. A volte deve anche difenderla da compromessi tecnici o produttivi che rischiano di alterare la coerenza visiva del progetto.
Perché diventare un DOP, in fondo, significa imparare a vedere. E non parlo di vedere nel senso fisico, ma di guardare davvero. Leggere ciò che è davanti agli occhi e ciò che ancora non c’è, ma potrebbe esserci.
Formazione e percorso per diventare DOP
Non esiste una sola strada per diventare director of photography. C’è chi arriva da studi accademici, frequentando scuole di cinema prestigiose. Questa strada mette a contatto sin da subito con le basi tecniche e le attrezzature professionali, permette contatti con docenti che hanno esperienza diretta e, soprattutto, con altri aspiranti colleghi. Questo crea una rete che, nel nostro settore, è preziosa quanto il talento.
E c’è chi, invece, impara tutto “sul campo”, iniziando come assistente e crescendo di set in set. È sul set che le nozioni diventano competenze reali, che “ci si sporca le mani”. La verità è che entrambe le vie hanno senso, e spesso si intrecciano. L’importante è non smettere mai di imparare.
Molti poi iniziano come assistenti operatore o come loader (chi gestisce le schede o, un tempo, le pellicole). Altri passano dal reparto elettricisti o macchinisti, imparando a conoscere a fondo la parte tecnica. In quei ruoli si osserva da vicino il DOP al lavoro e come comunica con il regista, come decide i tempi, come si relaziona con la troupe. Non è solo questione di “rubare con gli occhi”, ma di assorbire una mentalità.
Un aspetto fondamentale del percorso è la continuità e di fatto non basta un singolo lavoro ben fatto, perché il settore è competitivo, e le opportunità spesso nascono dal passaparola. Se ci si dimostra affidabili, puntuali, e si sa lavorare in squadra, il nome comincia a circolare. Chi invece non sa collaborare, difficilmente andrà lontano.
Il percorso di crescita passa anche attraverso errori e progetti meno riusciti. È inevitabile. Ma proprio quelle situazioni sanno insegnare tantissimo soprattutto quando si tratta di sfruttare al massimo ciò che si ha a disposizione.
Un buon consiglio per chi vuole intraprendere questa carriera? Sicuramente osservare, guardare film e serie, chiedersi perché una scena funziona, come è stata illuminata, che ottiche sono state usate. Fare pause, rivedere in slow motion, smontare mentalmente una sequenza per capire la sua costruzione. Un esercizio che affina l’occhio e allena a pensare come un DOP anche quando non si è fisicamente sul set.
Infine, bisogna avere pazienza. Il percorso per diventare DOP raramente è rapido e ci sono anni in cui si lavora tanto e altri in cui sembra che il telefono non squilli mai. E in questo tempo allora si può decidere di continuare a studiare, a guardare, a sperimentare.
Il valore di un DOP nella memoria di un’opera
Quello del DOP non è un ruolo che cerca il protagonismo, ma quello che fa questo mestiere è lavorare per far sì che la narrazione respiri, che lo spettatore non si accorga neppure delle scelte tecniche perché è troppo immerso nel racconto. In Italia, il percorso e i compensi di un director of photography sono molto variabili, influenzati dal tipo di produzione, dall’esperienza e dalla rete di contatti costruita nel tempo. Non si tratta di una professione che offre da subito cifre elevate, ma è piuttosto una strada che richiede pazienza, costanza e una lunga gavetta. E lo ribadiamo, per chi sogna di intraprendere questa strada, è bene ricordare che non si diventa DOP da un giorno all’altro.
In una primissima fase, le giornate di lavoro su set indipendenti o piccoli spot pubblicitari possono essere pagate intorno ai 150-250 euro, con orari spesso lunghi e ritmi intensi. Con il passare del tempo, e soprattutto quando si inizia a lavorare come operatore di macchina, i compensi iniziano a salire fino a poter arrivare anche a 500-800 euro al giorno, soprattutto se si è già in grado di garantire un certo livello di qualità e rapidità sul set. Il vero salto avviene quando si ottiene la responsabilità piena di un progetto di livello alto: spot pubblicitari per brand di fascia premium, fiction televisive di rilievo o film cinematografici con budget consistenti. In questi contesti, un DOP affermato può arrivare a percepire tra gli 800 e i 1.500 euro al giorno, con picchi che, per produzioni particolarmente importanti, superano i 2.000 euro. Si tratta però di incarichi che richiedono una reputazione consolidata e, spesso, la fiducia costruita in anni di collaborazione con registi e case di produzione. Ma come ben detto anche prima, alla fine, non è solo questione di girare “belle immagini”, ma creare immagini che abbiano un senso, che sostengano e amplifichino la storia. Perché un’inquadratura perfetta ma vuota è destinata a essere dimenticata. Un’inquadratura imperfetta ma vera, invece, può restare impressa per sempre. E in fondo, questo è il miglior riconoscimento possibile.

Ascolta anche
Leggi anche
Produzione video …
Spot per il setto…
Video per il sett…