Come scegliere una voice over per la realizzazione di spot a Milano – Intervista a Giovanni Giudice 

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La voce non è solo suono, ma un ponte emotivo tra lo spot e il suo pubblico. E se pensiamo ai jingle passati o alle voci che fanno parte del nostra memoria, ci rendiamo conto di come gli speaker pubblicitari rappresentino quelle voci che per anni, e negli anni, hanno accompagnato le nostre giornate, a volte facendoci sorridere o riflettere, altre volte facendoci emozionare e talvolta commuovere fino alle lacrime. 
Sì, perché una voce, con il giusto tono, il suo ritmo, fatto di parole e pause, diventa uno strumento molto potente per trasferire emozioni.

Ma come si diventa speaker pubblicitario? E quali sono gli aspetti più salienti di questa meravigliosa professione? Lo abbiamo chiesto proprio ad uno speaker professionista. Seguiteci in questa intervista, per scoprirne di più!

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Cominciamo quindi questa nostra puntata con il nostro ospite che si chiama Giovanni Giudice e che ringrazio di essere qui con noi. Ciao Giovanni.

Ciao ciao, grazie. Grazie a voi per avermi invitato. È un piacere.

Grazie. Il piacere è davvero tutto nostro. Allora Giovanni, ci tengo a dire qualche parola in più sul tuo conto, in modo da far conoscere a chi ci sta ascoltando. Tu sei uno speaker professionista, come si dice a livello internazionale, un voice talent e presti la tua voce per campagne pubblicitarie e prodotti audiovisivi. So che registri sia in studio a Milano che che a Roma, ti sposti molto di frequente e non da ultimo, che hai anche uno splendido studio da cui puoi registrare collegando Tim Link con studi in Italia o all’estero. Bene, senti Giovanni, io ho un po’ di domande da farti e sono molto curioso di sapere quali saranno le tue risposte. Ci racconti un po’ di te e di come sei arrivato a fare questo lavoro?

È un viaggio che è partito da bambino. Diciamo che sono stato anche abbastanza fortunato a captare quale poteva essere il mio talento. Io da subito, da piccolissimo imitavo tutti, parenti, amici, conoscenti, suoni. Quindi diciamo che ho avuto sempre un certo divertimento nell’utilizzare la voce e giocare con la voce e quindi ho passato veramente tanto tempo ad ascoltare.
Ho affinato l’orecchio con i cartoni animati  poi passavano le pubblicità. E poi sono passato a questo lavoro attraverso la via maestra, cioè lo studio della recitazione. Ho studiato per diventare attore a Catania, nella mia città natale e poi, dopo le esperienze sul palcoscenico, in realtà mi sono fiondato su un mio amico, ai tempi era uno sconosciuto, che ho visto passare per strada, che ho riconosciuto essere uno speaker di Radio 105, un mio carissimo amico a cui ho chiesto di insegnarmi il mestiere dello speaker. Deve aver visto negli occhi di questo ragazzino la pazzia o comunque la passione che forse aveva avuto anche lui e mi ha preso sotto la sua ala protettiva e mi ha insegnato anche questo mestiere dello speaker radiofonico che ha dei punti di collegamento.
Intanto il mezzo è lo stesso, infatti poi c’è stata la decisione dopo le esperienze teatrali e quelle radiofoniche a Catania, di andare a Roma perché volevo fare il doppiaggio che anche lì c’è un mezzo di collegamento, il microfono, che unisce la performance recitativa con quella della comunicazione davanti a un mezzo che ti registra. Poi sono arrivato le pubblicità perché comunque mi piace molto il modo di lavorare. Io posso dire ormai da dieci anni lavoro da remoto, quindi adesso si sente parlare di smart working molto frequentemente. Dopo il 9 dicembre è un po sdoganato, ma io lo faccio da tantissimo, cioè tutti i pregi e i difetti di questa tipologia di lavoro. Io lo apprezzo particolarmente perché puoi lavorare da casa in molta più libertà di tempo e di spazio e quindi da dieci anni posso dire di essere un voice over talent è uno speaker pubblicitario.

Guarda, capisco benissimo quello di cui parli e credo che la formazione teatrale regali sempre una grande versatilità. Non so una marcia in più, direi no?

Beh, sì, è come dire fatta quell’esperienza, tutto il resto è un po’ in discesa.

Ma va anche detto che il lavoro al microfono ha delle delle sue peculiarità, delle caratteristiche ben precise. Per cui bisogna ovviamente prepararsi e formarsi.

Si, tutte le esperienze non sono completamente poi diverse, per certi versi e tutte altrettanto importanti, infatti io sono felice di aver fatto un percorso misto perché da ognuna porterò con me un bagaglio di conoscenze e di skills che mi tornano utili nel lavoro di oggi. Il lavoro dello speaker pubblicitario è che, così come lo approccio io, è la sommatoria di tutte quelle capacità dei diversi ambiti e delle difficoltà incontrate.

Proprio a proposito di difficoltà. Ci puoi raccontare qual è stata l’esperienza più difficile o anche la più significativa e come pensi che abbia potuto influenzare la tua carriera?

Sicuramente il doppiaggio. Sì, perché innanzitutto parliamo dell’eccellenza italiana nell’ambito proprio della recitazione vocale, nel mondo. Quindi quella scuola è stata fondamentale perché è quella più difficile è ho avuto insegnanti innanzitutto come Pedicini, Iansante e direttori di doppiaggio con cui ho lavorato Chiara Colizzi, Silvia Pipitone, che sono dei mostri sacri del doppiaggio che hanno preteso il massimo, con chiunque e hanno faticato all’inizio per tirare fuori e per farmi tirare fuori delle carte che non avevo ancora. È un lavoro che si crea con la fatica, come l’esperienza insegna, non si nasce imparati. Però il doppiaggio rispetto ad altri ambiti è proprio quello in cui da subito si pretende che uno sappia fare molto bene quel lavoro, non quando magari non hai iniziato da bambino. Ecco, nel mondo del doppiaggio ci sono dei professionisti che giustamente sono tali perché hanno iniziato da bambini di tutti i rapporti con persone che hanno una conoscenza che tu devi colmare quel gap in pochissimo, quindi è stata molto, molto dura. Però mi ha lasciato tanto a livello tecnico. A livello attoriale le capacità performative del doppiatore, che sono solo uno, sono tante e diciamo che ti aiutano nel lavoro dello speaker pubblicitario. Cioè hai un bagaglio di emozioni e di intonazioni adatte al doppiaggio che ti puoi rigiocare anche nel mondo pubblicitario. E poi le altre difficoltà, secondo me, sono anche legate al fatto che questo è un lavoro dove bisogna lavorare sulle emozioni proprio a livello interpretativo, ma anche celare quelle che vivi. Quindi rispetto ad altri lavori, anche se sei stai attraversando un periodo difficile, non solo devi mascherarlo, ma la voce risente molto anche di quello che vivi. Quindi imparare proprio a fare dei compartimenti stagni, quindi, è una difficoltà, ma è anche una risorsa. Poi è diventato per me assolutamente chiaro.

Oltretutto conosciamo molto bene Silvia Pipitone, la sua grandissima qualità come attrice, doppiatrice, come insegnante e sappiamo benissimo quale sia il livello che che offre nelle sue lezioni e anche quanto pretenda dai suoi allievi.

No, ti aspetti di tutto da lei. È una educazione siberiana che ti rimane.

Sì, sì, assolutamente. Quindi guarda molto interessante il discorso che facevi anche sulla vita privata e di come questa possa influenzare il lavoro dal punto di vista artistico. La voce, oltretutto, è spesso un termometro dell’anima se vogliamo usare una figura un po’ poetica che risente di quello che ci accade, di come noi andiamo a vivere la nostra quotidianità, di quello che ci accade. Ovviamente un professionista della voce deve essere in grado di controllare anche questi aspetti. Ti faccio una domanda proprio su questo. Su questo aspetto ci puoi raccontare come tu prepari la voce prima di una registrazione?

Allora come preparo la voce? Diciamo che intanto negli anni della formazione ho fatto tanti esercizi di respirazione e di rilassamento. Questi sono esercizi che all’inizio sono fondamentali. Bisogna farli quotidianamente perché deve diventare un automatismo. Questo poi permette anche nel tempo di non avere bisogno di una preparazione eccessiva. Chiaramente ci sono dei giorni particolari, ci sono giorni in cui magari sei emotivamente più fragile. Per esempio devi fare dei provini, perché questo è anche un lavoro in cui devi comunque sporti al giudizio di qualcuno che deve dirti “sei bravo, non sei bravo, vai bene, non vai bene”. Quindi i provini anche dopo tanto tempo, dopo tanti anni di pratica, di esperienza sono sempre dei giorni di stress oppure quando hai un collegamento e il lavoro, Io dico sempre che poi il vero lavoro è quello di riuscire a tenere insieme tutte le difficoltà emotive di questo lavoro. Fare un collegamento dove hai dieci persone che ti ascoltano tra clienti, agenzie creativi, il fonico e tutti hanno bisogno che tu performi al meglio e ognuno pretende delle cose diverse. Quindi tu devi riuscire a fare un po’ ad accontentare tutti. Quindi in quei giorni, magari in cui hai un carico di stress maggiore, riprendo a fare degli esercizi di rilassamento. Quindi più che lavorare sulla voce lavoro sulla testa. Poi se vuoi sapere nello specifico, faccio i classici, i suoni “della s della m”, “le sirene” pure, ovviamente in periodi di abbassamento vocale anche cerco di fare dei minimi, insomma di curare l’alimentazione, di curare il sonno è fondamentale. Però non rinuncio ai miei due caffè giornalieri, non faccio delle cose esagerate. Diciamo che gli anni di pratica ti permettono poi anche di non fare una preparazione e giornaliera. È una conquista dell’esperienza. Lavorare, lavorare, lavorare. E questo alimenta poi la fiducia che uno ha anche in sé nella capacità.

Oltretutto, quando poi si ha la fortuna di iniziare a lavorare molto, quello diventa esso stesso un esercizio continuo e costante. Un esercizio che ci permette anche di affinare gli strumenti e riuscire a diventare più bravi, anche a leggere quelle che sono le esigenze di chi c’è dall’altra parte dei dei copyright e dei registi, dei creativi che ci chiedono di trasformare in atto vocale quello che è uno scritto su cui magari hanno lavorato per molto tempo. Penso sia assolutamente molto interessante. Continuiamo con le domande che ancora non sono finite. Hai un ricordo che ti emoziona particolarmente legato al tuo lavoro?

Allora devo dire che sono molto legato a tutti i lavori che ho fatto. La cosa che unisce tutti questi lavori è l’emozione comunque del riconoscersi. È un lavoro chiaramente che va un po’ a solleticare l’ego, questo del talent. L’emozione di risentirsi in televisione e le prime volte è stata fortissima e continua ancora oggi, quando mi capita di risentire anche recentemente degli spot fatti per la televisione. Però diciamo che una cosa che mi emoziona molto di questo mio lavoro è anche la possibilità di poterlo fare in totale libertà di spazio e di tempo. Il che significa, per esempio, che una volta ho fatto una registrazione di uno spot nazionale mentre mi trovavo in Thailandia con l’agenzia collegata dall’America. E chiaramente diciamo che il contesto era quello di una vacanza. E invece poi mi sono ritrovato in uno studio a Bangkok con i fonici della Sony e abbiamo fatto questo questo spot in collegamento. Una sorpresa che non avevo programmato e mi ha fatto sorridere. Ho pensato comunque che è una bella fortuna questa qui, di fare questo lavoro, una fortuna che mi sono costruito anche un po su di me, perché questa libertà che mi dà questo lavoro, mi entusiasma molto.
Oltre al fatto che è una tipologia di lavoro o comunque di divertimento No? E quando dico divertimento, non intendo dire che è un lavoro che si fa in un attimo. No, quasi come dire poco serio, no. E in cui ti puoi sentire molto appagato mentre lo fai. Come il discorso dell’attore che quando sale in scena sta giocando in realtà si chiama “play” in inglese non giocare. E comunque questo, anche se il mezzo è diverso, questo lavoro ce l’ha.

E questa cosa accade anche in francese, dove per dire e recitare si usa la parola “jouer”. Quindi la matrice del gioco c’è in entrambe le lingue e in verità mi hai anche già risposto a quella che sarebbe stata la mia domanda successiva, ossia “cosa ti piace di più di questo lavoro?” Che dalle tue parole mi sembra chiarissimo un lavoro caratterizzato da una grande versatilità, ma anche che responsabilizza molto e condiziona molto la vita di chi ti sta accanto.

Beh, sì, questo guarda da un lato c’è la possibilità del lavorare da freelance, poi da remoto in totale autonomia e questo è molto affascinante proprio perché è divertente, ti permette di fare delle cose che magari altri lavori non consentono. Però è anche vero che è un lavoro da libero professionista, quindi richiede molta responsabilità, richiede anche la capacità di fare, quella cosa che ti dicevo prima, di affrontare le tue paure, perché poi fai anche un lavoro di venditore di te stesso. Cioè “tu sei il tuo prodotto e devi vendere te stesso”, devi comunicare il lavoro che fai, quindi c’è tutta la parte. Poi invece che non è proprio della creatività del lavoro in sé, ma quella dell’account, del venditore. Quindi farsi conoscere e bussare alle porte, accettare anche le delusioni dei rifiuti, dei “no”. Quindi, diciamo che quello è il vantaggio a cui puoi arrivare, superando degli ostacoli, anche in una bella gratificazione, una volta che arrivi.

E penso che questa ottica manageriale, di cui parlavi sostanzialmente, sia già un ottimo consiglio da dare a chi magari vorrebbe intraprendere questo percorso professionale. Ci sono altri consigli che ti senti di voler dare, che potresti regalare a chi ci sta ascoltando?

Ma sicuramente di non avere fretta, non avere fretta è partire “dallo studio matto e disperato” dalle cose. Proprio più difficili. E quando ti ho detto l’esperienza teatrale che è stata la prima, quindi forse anche la più difficile, perché partì da zero. Lo studio della dizione, lo studio della recitazione, fare esperienze molto diverse senza avere la fretta di arrivare, perché non si può arrivare da un giorno all’altro. Questo è un mestiere che si impara veramente in migliaia di ore di pratica, anche di cose brutte, fatte male, perché l’orecchio deve abituarsi, perché dobbiamo imparare delle cose che magari richiedono tanti mesi. La fretta non risolve nulla.
Per esempio oggi ne parlavo proprio in uno studio in cui mi trovavo per lavoro. Abbiamo fatto una sessione in collegamento e mi dicevano che ricevano tantissimi demo ogni giorno, però i demo non sono garanzia di lavoro.
Perché? Perché il demo è qualcosa che puoi confezionare, magari in una settimana di fatica per arrivare a un risultato convincente. Ma il lavoro è quello del collegamento, cioè tu davanti a un microfono, con tutte quelle persone che ti dicono in continuazione “falla più così, falla più co lì” che devi accontentare. Quindi è un lavoro di grande versatilità di essere al servizio. Non arrivi chiaramente a questo in pochissimo, anzi, fare anche i lavori, quelli, soprattutto quelli che possono sembrare all’inizio, i meno interessanti, più noiosi perché permettono di fare pratica, di fare palestra. Bisogna partire dalle fondamenta e poi negli anni arriveranno delle soddisfazioni. D’altra parte, come si dice “le cose semplici sono banali e sono stupide”, bisogna partire dalle cose più noiose per poi avere in mente l’obiettivo finale, che è quello di salire di qualità. È una conquista lenta però. Insomma, positivi ragazzi, positivi si può fare, Ce l’ho fatta io.

Quando si comincia, poi, l’errore è importante, anzi fondamentale, ed è commisurato spesso alle responsabilità che ti trovi davanti. Viceversa più si avanza con la carriera, più le sfide diventano importanti. Ovviamente belle da affrontare.

Bisogna sbagliare, bisogna non avere paura di sbagliare, sbagliare il più possibile, ovviamente con l’orecchio pronto all’apprendimento. Altra cosa allenare la mente e l’orecchio. Siccome chi vuole avere un gusto, un miglioramento rapido, sicuramente ascoltare e replicare le intenzioni e le intonazioni dei grandi che fanno già questo lavoro da tanto tempo può essere un bel suggerimento. Bisogna anche un po’ rubare, chi non l’ha fatto? Tutti mestieri si imparano rubando lì da qualcuno, da un maestro, da chiunque. Ecco, quindi questi sono i miei consigli. Almeno questo è quello che ho fatto io.

Mi sembrano ottimi consigli e ti ringrazio anche per il tempo che hai voluto trascorrere con noi, in questa bellissima chiacchierata che ci siamo fatti insieme. Spero di incontrarti presto, magari in qualche registrazione.

È stato un vero piacere parlare del proprio lavoro, non capita tutti i giorni. Ciao. A presto!

Questo articolo è stato realizzato grazie agli incentivi TOCC “Transizione ecologica organismi culturali e creativi” promosso dal Ministero della Cultura e gestito da Invitalia, grazie ai fondi dell’unione europea NextgenerationUe.

*Il podcast KortoTalks è stato realizzato grazie alla partnership con Milk Studios, con Davide di Pasquale di Associazione Uniamoci onlus, grazie a Marco Bongi dell’Associazione pro retinopatici e ipovedenti, grazie a Dario Sorgato dell’associazione NoysyVision Onlus.

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