Fear Appeal: strategie di psicomarketing negli spot

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Era una notte buia e tempestosa” scriveva  Edward Bulwer-Lytton nel romanzo “Paul Clifford” del 1830, con l’intento di creare un tono drammatico e un clima dark in cui far immergere il lettore Al di là della notorietà per il frequente uso che ne ha fatto Snoopy, il personaggio dei Peanuts, o per la stereotipia d’uso quando si vuol descrivere “una frase fatta” o uno stile non sempre “originale”, l’appello alla paura, o comunque ai sentimenti “più scuri” possono venire utilizzati nella comunicazione pubblicitaria per creare un effetto comunque persuasivo, nel fare o non fare qualcosa, utilizzando le emozioni in una modalità alternativa. Quelle “negative” o spaventose, per l’appunto.
Il Fear Appeal, inteso soprattutto come “timore” diventa una leva potentissima in grado di lavorare profondamente nell’inconscio umano, capace di scavare ben nel profondo, mobilitando anche le paure più primitive ed ancestrali. Quelle, ad esempio, che mettono in discussione “la vita stessa”.


Fear appeal: la paura che persuade


La paura persuade, perché ha in sé una profonda natura di ansia, travestita da possibili velate minacce che minano l’incolumità, la salute, l’esistenza, per l’appunto. Quando qualcosa “spaventa” o “fa paura” nel cervello umano si attivano aree illogiche e irrazionali che riescono anche a prevalere.
Il messaggio pubblicitario arriva dritto al cervello e riesce a creare una forte tensione emotiva per la quale il fruitore di uno spot, ad esempio, ha la possibilità di scegliere per il prodotto pubblicizzato che sarà, chiaramente “salvifico”, oppure saprà di doversi assumere rischi, conseguenze e pericoli indesiderabili derivanti dal suo mancato utilizzo. Ma ad ogni modo “il brivido” piace, perché la paura ci pone di fronte a situazioni che consentono al nostro cervello di “reagire”.
Quando c’è qualcosa che ci spaventa, il nostro cervello attiva aree generalmente “spente” e sperimentiamo nuove capacità cognitive ed emotive.
Sotto l’effetto della paura il cervello rilascia dopamina che, in alcuni casi, provoca addirittura benessere per una sensazione di ricompensa e piacere. Non solo: anche l’amigdala, la parte più primitiva del cervello, innesca un meccanismo che attiva e coinvolge tutto il corpo, grazie anche alla forte scarica di adrenalina. Proprio come certuni provano piacere praticando sport estremi. Il fascino della paura quindi può produrre una cascata emozionale e guidare anche il consumatore, chiaramente, con l’utilizzo del prodotto, l’acquisto del servizio, l’adesione ai valori del Brand. Elementi pertanto salvifici e necessari. 


I sentimenti di minaccia e pericolo


L’appello alla paura fa sì che le persone sentano di correre un rischio, se non acquistano ciò che un’azienda, in alcuni casi, possa offrire loro. Gli annunci di appello alla paura tendono a funzionare meglio con obiettivi facili da raggiungere.

La pubblicità basata sulla paura è più efficace quando soddisfa i seguenti criteri: l’annuncio evoca stati di tensione proattiva; offre modi specifici per superare la paura; l metodo consigliato per superare la paura è facile da raggiungere. Tutti conoscono, o comunque hanno visto, almeno una volta nella loro vita, una pubblicità contro il fumo. Alcune di queste possono essere realmente spaventose ed offrono una maniera diretta per evitare la paura: smettere di fumare.
Le leve quelle di fare pesare la condizione di salute, messa a rischio con danni anche gravi per la vita.
Tuttavia, può essere difficile per le persone (almeno per alcune) smettere di fumare e quindi ottenere un risultato è più difficile da raggiungere, anche attraverso un sentimento di preoccupazione generato.Sono parecchie le campagne che puntano anche sui numeri: basti ad esempio pensare a quelle relative anche alla necessità di una guida sicura, magari “impressionando e creando preoccupazione” con le stime numeriche degli incidenti e delle vittime della strada.
Infatti il fear appeal è anche più efficace quando utilizza fonti attendibili. 


Le campagne pubblicitarie progresso: sentimenti negativi per riflettere


Uno dei metodi più utilizzati per attirare l’attenzione sulla pubblicità sociale è l’uso di emozioni negative. Tuttavia, l’efficacia degli appelli emotivi negativi nelle campagne sociali è ancora un argomento di dibattito.
L’aumento dell’intensità delle emozioni negative in una pubblicità progresso ne aumenta l’efficacia?
In linea di massima sì, anche per via di un meccanismo che è quello del ricordo: tendiamo a memorizzare di più, e in maniera più intensa, le esperienze che ci hanno più coinvolti emotivamente, e soprattutto se ci si riferisce ad eventi che inducono sensazioni di paura e minacce per la nostra incolumità. Alcune campagne sulla guida sicura, ad esempio, possono avere una influenza significativamente maggiore se il messaggio è in grado di sollevare ad esempio stimoli negativi più forti sulla guida in stato di ebbrezza.  C’è comunque un altro lato della medaglia: il risultato delle campagne che poggiano la propria strategia sulle minacce o le paure non sempre hanno effetto sul target “apparentemente più a rischio”, ma su quelli collaterali.

Nel caso di campagne sociali sulla guida sicura è più facile, ad esempio, che a prestare attenzione siano le persone che hanno comunque una guida più prudente e meno rischiosa. 

Così come, ad esempio: nel caso del fumo, le campagne progresso non producono conseguenze sui fumatori incalliti.


La leva dell’ansia che aiuta a vendere 


In alcuni spot pubblicitari ansia e speranza sono ingredienti essenziali del fear appeal.

L’ansia viene dipinta nelle forti tinte di un problema scaturito da una situazione reale: l’invecchiamento della pelle con l’andare dell’età, ad esempio. La speranza invece diventa l’emozione positiva vissuta in relazione a un risultato futuro che si adatta a obiettivi o aspettative: ridurre le rughe con una crema diventa la soluzione magica in grado di “portare indietro” il tempo. Ansia e speranza portano alla pianificazione di azioni: il consumatore, alla visione dello spot, individua le proprie ansie (e anche paure) e molto probabilmente cercherà di approfondire le informazioni sul “prodotto magico”, in grado di rispettare promesse e aspettative dichiarate. In generale il risultato finale potrà essere l’acquisto.


Il prodotto pubblicizzato come mitigatore di sentimenti negativi 


In un messaggio che utilizza il fear appeal possiamo rintracciare sempre tre componenti essenziali:
– la minaccia che qualcosa avvenga;
– danno che quel qualcosa può provocare;
– efficacia di un prodotto per neutralizzare la minaccia.

Ognuno di questi elementi va sotto il nome di mediatore cognitivo, ovvero percezioni che possono motivare i consumatori all’acquisto. L’acquisto si verifica quando il mediatore dell’efficacia è più forte degli altri ed è in grado di attribuire senso necessario all’acquisto del prodotto stesso.


Spot da paura! 


La strategia fear appeal sfrutta, quindi, sentimenti di angoscia, impotenza e paura come leva: lo fa con le immagini, con il messaggio esplicito, ma anche con il tono della voce.


Apple Smartwatch 


L’oggetto come mitigatore della paura è la strategia applicata da Apple per il suo Apple Watch 7.
In un bosco fitto e oscuro che suscita suspense, una chiamata automatica parte verso il numero della polizia: proviene dall’apple watch di una persona che è caduta e ha perso i sensi e fornisce le indicazioni di geolocalizzazione utili al proprio ritrovamento.
L’oggetto pubblicizzato assume, dunque, un’importanza superiore rispetto a quella percepita normalmente dal consumatore.
Nel caso di apple watch: non consente solo di sentire musica o rispondere alle chiamate o contare i passi ma può salvare la vita.


Sulla Buona Strada – Ministero delle infrastrutture e dei trasporti 


Un bambino parla dall’al di là: lo si capisce dal sottopancia che indica la data di nascita e di morte.
È vittima di un incidente d’auto perché non era stato messo sul seggiolino. Alle immagini cruente dei morti e del sangue si sostituisce un linguaggio essenziale e diretto e l’innocenza di un bambino che mitiga il sentimento di paura.
Un messaggio che utilizza il fear appeal funziona soprattutto se è moderato: in questo caso il sentimento di tenerezza verso il bambino modera la negatività della circostanza e determina un ricordo molto più a lungo termine.


Nivea Q10 e la velata paura di invecchiare 


Una donna, la cui età probabilmente tende a toccare la soglia critica dei 40 anni, riesce a mostrare un viso radioso nonostante abbia fatto tardi (giocando a casa con i figli o in giro con gli amici) la sera prima.

Il messaggio è: non è necessario fare i sacrifici per essere bella. Tra la protagonista dello spot e il consumatore si innesca complicità. La paura di invecchiare viene mitigata dalla soluzione: la crema. Anche in questo caso il sentimento ansiogeno e terrifico dell’età che passa viene mitigato comunque da un potente appiglio: la forte promessa di età preservata, grazie al potere praticamente magico di una crema. Se è vero che sono le emozioni a decretare il successo di un Brand, allora è necessario che queste emozioni siano quanto più reali e coinvolgenti possibili, così da imprimersi non solo nel cuore, ma anche nella mente dei tuoi possibili pubblici di interesse.

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